Marzo 2019 – Aoratos

 

Pronti per una nuova mascherata dell’orrore in quattro dischi che sono finiti per essere i preferiti della redazione durante marzo? Speriamo di sì, perché il primo della kermesse -che ha unito alla quasi unanimità lo staff- fa proprio del carico di orrore percettivo, mischiato alla sempiterna e minacciosa oscurità opprimente che tanto contraddistingue la mente che nei suoi meandri vi si cela, l’arma spietata e quasi folle con cui strappare le carni di chi ignaro ascolta in un tripudio macabro di liminali divinità senza nome né rimorso. Qualche attento lettore l’avrà pertanto previsto, dal momento che “Gods Without Name” ci è piaciuto così tanto da spingerci a realizzare la sua anteprima esclusiva per l’Italia un paio di settimane fa su queste pagine, ma è senza alcun dubbio che gli Aoratos hanno realizzato con il loro debutto il miglior disco di marzo (uscito ufficialmente il 22 per Debemur Morti Productions).
Oggi andiamo quindi per gradi in aggressione, ma al contrario: se non vi è infatti assolutamente da temere che gli altri tre album contendenti non vi permettano di rifiatare e viaggiare in vario modo per via delle loro coordinate diversamente atmosferiche (in crescendo) tra Svizzera, Italia e Belgio, la partenza è invece quanto di più violento e potenzialmente asfissiante il Black Metal sia generalmente in grado di regalare.

 

 

Si parte dalle potenzialità degli Akhlys per veicolare nuove esplorazioni di abissale sconforto e orrore, rinforzate, indurite in costruzioni più aggressive e fisiche che ciononostante non ne impoveriscono la complessità, longevità o difficoltà. La fila di spettrali brani, brevi e pesantemente imbevuti di Dark Ambient rituale con decisivi ritagli sinfonici, peregrinano in una processione spietata che svicola tra velocità folli (con picchi industriali) e rallentamenti ricchi di nera passione, presentando Aoratos non solo come un’altra interessante chiave di lettura dell’ormai ampio corpus del compositore, bensì quella più imperdibile, memorabile, altamente qualitativa e che più virulenta vive di anima propria accanto all’ormai classico “The Dreaming I”.”

(Leggi di più nella colonna speciale dedicata alla première italiana del disco e completa di breve discussione con Naas Alcameth, qui.)

L’ennesima creatura di Naas Alcameth si presenta come la più interessante dai tempi dell’ultima fatica degli Akhlys. Gli Aoratos, tramite “Gods Without Name”, ci scaraventano in una sorta di incubo musicale saturo di riff gelidi e taglienti e un’atmosfera di continua ansia, a tratti asfissiante ma perennemente calibrata all’attacco. Il tutto si smorza solamente nelle parti finali, con sonorità più evocative e vicine al Doom, perfette per riprendersi dalla carica dei minuti precedenti. Opera assolutamente consigliata, con una menzione particolare per “Of Haverst, Scythe And Sickle Moon”: a mani basse tra le migliori canzoni che sentirete quest’anno.”

Gli affilati artigli del terrore ci strappano dal nero torpore sacrale e trascendente di “The Dreaming I”, soffiando via gran parte della densa cappa di Dark Ambient e lasciandoci inermi e intimoriti nel desolato mondo che si rivela dietro essa: le implacabili chitarre di “Gods Without Name” tagliano e dilaniano forti del loro fragore dissonante, mettendo a nudo e veicolando tutta l’abilità compositiva di Naas Alchameth. Rinunciando al grandeur sfacciato e a tratti pacchiano degli attacchi frontali di casa Nightbringer, ma conservandone il minutaggio ridotto a livello di singoli brani, il debutto degli Aoratos ci restituisce sì una prima chiave di lettura apparentemente più facile e godibile, ma nasconde un oceano oscuro di dettagli e rifiniture che ricompenseranno chi avrà il coraggio di esplorare a fondo gli angusti meandri che lo compongono.”

Aoratos, la nuova manifestazione sonora dell’ormai noto Naas Alcameth, dimostra ve ne fosse il bisogno la sua prolificità come musicista ancora una volta, stanziandosi come il progetto che potremmo tranquillamente considerare la versione più fisica dei celebrati Akhlys: proprio dove “The Dreaming I” puntava su quel qualcosa di impalpabile, fumoso e onirico, “Gods Without Name” colpisce e aggredisce invece l’ascoltatore con violenza.”

 

 

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Il secondo di ben tre debutti a prendersi qualche nomina oggi, ovvero “So Fallen Alle Tempel” degli svizzeri Aara, altresì una piccola ma non trascurabile perla fuori per Naturmacht Productions dal primo giorno del mese, pronta a portarne a casa ben tre. Il duo ha le idee molto chiare su quanto grezzo e d’impatto debba suonare il suo originale e ricamato Black Metal atmosferico: una sorpresa difficilmente ascrivibile a debuttanti assoluti.

“Non vi è dubbio che in futuro gli svizzeri Aara dovranno essere ricordati come uno dei debuttanti più promettenti del 2019. I cori monastici che sbucano senza fatica dallo spigoloso e roccioso amalgama di escoriante approccio estremo valorizzandolo, su cui si arroccano altrettanto violente vocals incredibilmente distorte, sono una manna di originalità che va a sopperire ampiamente alle piccole lacune in fluidità riscontrabili qua e là durante l’ascolto del sempre interessante “So Fallen Alle Tempel”. La batteria macina battiti impazziti, le chitarre lacerano rumorose l’apparato uditivo sia quando indistinte che più fisiche – ma le riuscite melodie che ne escono continue dimostrano già una propensione all’atmosfera che fa degli Aara ben più di una mera band da tenere d’occhio.”

(Leggi di più nella colonna dedicata ad “Aare”, qui.)

Le atmosfere arcaiche e trasognate di “So Fallen Alle Tempel” ci involano nella misteriosa e sinistramente iridescente cattedrale gotica senza fine, le cui guglie acuminate fendono luce e aria come gli onnipresenti cordofoni gracchianti che, a modo di solido e grezzo blocco di pietra, si pongono a basamento del sound degli Aara. Le virate melodiche si infrangono invece come vento sferzante e rumoroso, facendo emergere di quando in quando cori liturgici che, similmente a nicchie incassate e nascoste, impreziosiscono l’opera. Una release dall’assimilazione non scontata, ma di gran carattere e dalla spiccata personalità, che non può che farci volgere con rinnovato stupore e aspettativa nuovamente verso il suolo elvetico.”

L’esordio del duo rossocrociato è una vera e propria esplosione siderale, in cui il rumorismo cosmico dei Darkspace si sposa meravigliosamente con le melodie chitarristiche strazianti dei Mgła. Su questa tela nerissima gli Aara aggiungono oltretutto parecchi altri accorgimenti azzeccati, tra i quali risplendono i bellissimi intrecci vocali tra le urla inumane di Fluss ed i canti gregoriani che ogni tanto emergono dalla bolgia sonora, senza ovviamente portare alcun conforto all’ascoltatore. Difatti, anche se non manca qualche passaggio parecchio ficcante sin da subito, al primo impatto “So Fallen Alle Tempel” può essere abbastanza impegnativo da assimilare; ma complici il feeling sicuramente avvincente e un minutaggio non eccessivo, ecco che anche questo apparente muro bianco si aprirà, rivelandosi un lavoro tanto sorprendente quanto longevo.”

 

 

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Il terzo debutto nominato nella selezione è invece quello dei nostrani Flamen, intitolato “Furor Lunae” e uscito il 10 marzo per Wolfspell Records (insieme a Lower Silesian Stronghold) a distanza di ben sei anni dal breve EP “Supremo Die”. Accompagnate da uno splendido artwork, le menzioni per l’intrigante band di Potenza sono in questo caso due – ma decisamente non meno convinte o convincenti.

I giovanissimi Flamen vanno a rimpolpare quella rinnovata ala estrema del (disprezzo e del) Black Metal italiano che guarda con devozione e fierezza a sonorità che nella Penisola e più in generale nella zona meridionale del nostro continente hanno avuto i natali. Nonostante una produzione decisamente non in grado di valorizzare appieno l’opera, è impossibile non apprezzare l’abilità compositiva già in fase di maturazione che porta i cinque pezzi di “Furor Lunae” ad evolvere da scarne introduzioni dal flavour medievale ad epiche cavalcate punchy e ben coadiuvate dall’inserimento delle tastiere, fino a progressioni monocorda più calde e melodiche. Un esordio promettente che, nonostante collochi il progetto ancora un gradino sotto ad altre uscite nostrane confrontabili per estetica e ispirazione come Nova e Funera Edo, pone delle solide basi per il futuro.”

“Furor Lunae” dei Flamen, giovane e interessante progetto proveniente dalla Basilicata, propone un Melodic Black Metal dal taglio epico con tratti di estrazione medievale locale in cui non sorprendentemente sono gli strumenti a corda tradizionali (più alcuni riff elettrificati e ben ispirati) a giocare il ruolo fondamentale all’interno dell’economia complessiva. Lo stile rende il risultato di livello perché impreziosito dal gusto folkloristicamente mediterraneo, nella sua declinazione epica, dimostrandosi già abbastanza originale e rifuggendo efficacemente la necessità di ricalcare il più sdoganato filone di Black Melodico dettato delle band scandinave, consegnando così un ottimo esordio.”

 

 

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Non un debutto, bensì un sophomore album è infine quello dei Drawn Into Descent dal Belgio che si guadagnano due nomine (interessanti e contrastanti!) per l’operato svolto in “The Endless Endeavour”. Il disco è uscito il 15 marzo per Avantgarde Music e la giovane band si riconferma convincente e promettente per gli amanti delle sonorità più atmosferiche, anche se probabilmente in grado di dare ancora qualcosa in più.

Chi non si era fatto bastare gli spettacolari lavori di Saor e Nasheim il mese scorso potrà di nuovo gioire, dato che con “The Endless Endeavour” anche marzo ha portato sul tavolo il classico disco da godersi distesi in solitudine e impegnati solamente a seguire il dipanarsi delle ispirate chitarre. Nonostante alla prova dei belgi manchino l’energia interminabile di “Forgotten Paths” e la capacità di scrittura riversata in “Jord Och Aska”, è altrettanto evidente la cura dei Drawn Into Descent per gli arrangiamenti e il dinamismo, i quali mantengono la noia lontana per l’intera durata dell’album. L’ascolto è infatti tutto fuorché ripetitivo, con cinque brani che, seppur presentino relativamente pochi scossoni una volta inquadrato il mood generale, fluiscono piacevolmente per tre quarti d’ora a metà tra momenti più plumbei ed aperture melodiche più luminose assolutamente impeccabili.”

Un retroterra Depressive, soundscape dai riverberi cangianti e avvolgenti, linee di chitarra che più volte si inaspriscono in riffing più diretti: quasi ogni traccia di “The Endless Endeavour” sarà in grado, presa singolarmente, di stupirvi e affascinarvi. Tuttavia, neanche il batterismo brioso e vario riesce a scongiurare un aleggiante velo di noia che, in agguato, compare nei comunque esigui quarantacinque minuti per via di una ripetitività eccessiva e soluzioni abusate, facendo, in alcuni meno ispirati tratti, annaspare l’ascoltatore nelle ampie volute di delay – allo stesso tempo croce e delizia di un’opera che ambivalente mette in luce le ottime qualità e le grande potenzialità di un gruppo che, nonostante il risultato piacevole e del tutto godibile, ancora non riesce a compiere il definitivo salto di qualità rischiando immeritatamente di passare inosservato a causa di un’annata così generosa in fatto di Black Metal atmosferico.”

(Leggi di più nella colonna dedicata a “Wither”, qui.)

 

 

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In caso questi titoli non siano sufficienti a placare la vostra infinita fame o i generi e stili proposti non trovino in pieno personali gradimenti, il nostro Feanor tiene a consigliarvi altri due dischi: sul versante più cupo, dissonante, pesante e occulto, il ritorno dei francesi Drastus (qualora non vi bastasse “Gods Without Name” degli Aoratos, una buona alternativa più vicina agli Ascension ma virante sul Death è “La Croix De Sang”, fuori per Norma Evangelium Diaboli dal 4 marzo), mentre se quel che vi è mancato nella selezione di oggi è del Folk (magari di derivazione celtica?) quel che potrebbe fare al caso vostro sono invece i Waylander con “Ériú’s Wheel” (Listenable Records, 22 marzo).
Sperando che ora siano abbastanza, l’ultimo aggiornamento di oggi consiste nell’informarvi che abbiamo recentemente potenziato, finalmente con la comodità di una nuova essenziale funzione, l’inimitabile calendario delle uscite in costante aggiornamento. Ma non diremo altro perché vi diamo il tempo per scoprirla da soli da qui al prossimo appuntamento di questo genere, una volta che anche aprile avrà tirato le cuoia.

 

Matteo “Theo” Damiani

 

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